martedì 1 luglio 2014

Dedicato agli amici Stefano, Pier e Livio, eroi senza macchia dell’informazione, mai complici della menzogna, e donatori di sangue. Financo ai piddini.



Stamani mi son recato a vedere la pagella di mio figlio, licenziato della scuola media, e quasi licenziato per i suoi voti, al livello del quarto inferiore della sua classe.

E’ vero odio per formazione mentale, classificare i discenti per voti, ma il metro mi occorreva per valutare la situazione. Dei miei due figli il grande, che pareva zoppicare di più, al primo superiore scientifico ha avuto tutti sei e due sette; nella sua classe ci son stati 6 bocciati e dieci rimandati. Quindi mi son chiesto, dov’è il problema?

Il problema risiede nel fatto che il figliuolo piccolo, in piena fase adolescenziale ed ormonale ( mt. 1,82), sta sempre con le cuffie alle orecchie, collegato con facebook, WhatsApp, e nei momenti liberi sente musica. Un cocktail mortale, non c’è che dire !

È discorso ormai noto quello degli effetti dei cosiddetti social network, sia sugli adulti che sugli adolescenti, nelle cui teste tra gli effetti amplificati della ridondanza informativa, si inframmezzano notizie e cazzate di natura diversa, contribuendo a confondere le menti già confuse dell’italiota medio. Figurarsi quelle degli adolescenti. Di fatto diventano burattini nella marea nera dell’informascion del web.

Tutto ciò va a detrimento di uno dei principali primati dell’uomo, la sua coscienza. Sia i giovani che gli adulti perdono la capacità di concentrazione e di apprendimento delle notizie viva via apprese sul web, rinunciando di fatto all’originalità del proprio pensiero,  e trasformandolo in una corrente di pensiero senza più una personalità, diventando uno dei più temibili malanni del secolo.
Il morbo della distrazione di massa.  

E questo sistema di fatto favorisce confusione nel sistema sociale, circa le reali mete che si prefigge in un ordinato sistema di convivenza civile. Si manifestano così insofferenza  ed anomia, come riferito da Robert K. Merton nel suo libro “Teoria e struttura sociale” . Quando all'interno del gruppo sociale insorge un conflitto tra fini socialmente approvati e mezzi socialmente approvati disponibili, nel cittadino si ingenera uno stato di conflitto che favorisce la devianza. Ma questa è una definizione tecnica.

Il tentativo di approvazione del gruppo è molto forte nell’uomo, e gli inventori di feisbuc hanno saputo trovare l’arcano per indurre l’utente nella tentazione dei i fumi fatui dell’illusione dell'appartenenza a gruppi che di fatto inesistenti.




Quindi, dopo aver considerato tutto questo, mi son reso conto che il mestiere di genitore è difficile.  Ma son convinto di dover dare il buon esempio.

Ed ho disattivato i miei accounts.


Tuttavia vorrei ancora parlare della rete, e di quanto abbia veicolato il messaggio innovativo del Movimento 5 Stelle, diffuso attraverso il web, lontano delle possibili mistificazioni dei media tradizionali. Il successo del leader Beppe Grillo è giunto all’apice nel corso delle elezioni del Febbraio 2013, ed il movimento ne è stato quasi travolto. Per cui dopo un’iniziale fase di stabilizzazione, ha cominciato a muovere i suoi primi ed immaturi passi dell’esperienza politica. Ma il Movimento risultava ancora impreparato nella sue capacità decisionali, ed il suo artefice, abituato per sua natura comunicativa ad urlare, ha continuato a farlo nel confronto con Renzi di Febbraio scorso, un monologo di dieci minuti che non ha portato a nulla di costruttivo.

Ma i nodi stanno per venire al pettine. Il 25 Maggio le elezioni per il parlamento europeo, vedono il centro destra di Silvio in difficoltà, e la partita tra PD e M5S si trovava a giocarsi sul filo del rasoio. Quindi i vertici del Movimento hanno deciso per un’attivazione “forte” per la propaganda elettorale della base. Ma cotanta foga direi che ha invertito le sorti della consultazione politica europea. Considerata l’età media piuttosto alta dell’elettore nazionale,  abituato più a seguire la tivvu che la rete, come tutti gli anziani è stato spaventato dall’euforia del giovane popolo del Movimento 5 Stelle, ed ha preferito affidarsi alle più mansuete attrazioni della sinistra storica.

Il risultato, per quanto relativo, sia per i votanti che per gli ambiti in cui veniva espresso, ha consegnato una vittoria netta del PD, relegando il M5S ad un 21%. Risultato onesto, ma un segnale di mancanza di fiducia di quell’elettorato.

Beppe Grillo, dopo una robusta razione di Malox, ha preso una decisione, che per il momento storico risulterà malaccorta. Si sottomette ad un incontro con Renzi sui temi maggioritari e sulla  legge elettorale, che nel gioco delle parti abilmente non ha rifiutato, salvo poi fissare “a Mercoledì prossimo” l’incontro, puntualizzando tuttavia che «esiste un accordo fra le forze di maggioranza e Fi ed eventuali modifiche saranno prese in considerazione solo se ci sarà condivisione con chi ha già contribuito a questo percorso. Non si cambia partner all’ultimo momento». Una conferma che il leader verosimilmente vuol solo risultare interlocutore di Beppe Grillo, ma di fatto continuerà a seguire la sua rotta. Che mi auguro sia quella giusta.

Ma tornando all’analisi della propaganda del M5S, non possiamo trovare una politica efficace e conscia dei reali obiettivi, specie in termini di politica economica, e tale indecisione ha minato le basi del consenso. La diatriba continua ancora sino a questi giorni, tra gli adepti convinti della teoria della collaborazione, rispetto ai detrattori assoluti del dialogo.
Al momento non rimane al M5S di appoggiare un sereno dialogo, cercando di spuntare un consenso anche verso la pletora elettorale, così sensibile all’irruenza grillina, e sperando così di sollevare il paese dal  suo torpore, specie considerando che l’autunno potrebbe non essere foriero di buone novelle, considerata la inopportuna semina degli ultimi governi.

Quindi a mio parere è necessario – per un libero pensatore – dotarsi di pazienza, e discutere, in un dialogo liberale, secondo i principi della tolleranza e comprensione reciproca. Dotarsi delle competenze tecniche, ma utilizzare un linguaggio pacato, che conquisti più con l’amore, e che non fomenti l’odio partigiano.

A presto miei prodi (con la p minuscola).

Renatoxr

domenica 8 giugno 2014

La caduta di Bisanzio (con la collaborazione storiografica di mio figlio Giuseppe)




Bisanzio, inizialmente una colonia greca conquistata dai Romani all’epoca di Silla nel I Secolo A.C., fu rinominata Costantinopoli, in onore di Costantino, che inizialmente la rinomino “Nova Roma ”, ma presto ribattezzata Costantinopoli

La ricca città, divenne centro cruciale dell’Impero Romano d’Oriente, e perse la denominazione di “Bisanzio”. 


Tintoretto  La caduta di Costantinopoli



Tuttavia il termine bizantino conservò il suo significato relativamente alla sua arte, alla sua storia, ma anche sinonimo del suo declino. Infatti la parola bizantinismo, si riallaccia non solo alla cultura di quella città, ma anche ai suoi parossismi. La corte di Bisanzio, con gli Arabi alle porte, si perdeva in inutili dissertazioni di carattere religioso, invece di preparare la propria difesa. Altri tempi (sic).




Purtroppo ad oggi una situazione simile si sta delineando nella politica e nella vita sociale del nostro paese. Il recente scandalo dell’ Expo ha nuovamente riacceso i riflettori dell’opinione pubblica sul problema della dilagante corruzione, come scrive certo giornalismo del giorno dopo, con la scoperta dell'acqua calda.

Un po’ come negli anni passati, si è pensato di ricorrere ad una normativa di emergenza, nominare un commissario straordinario, promulgare nuove leggi, che si vanno ad assommarsi alle 150.000 già esistenti, creando un neo bizantinismo nella nostra piccola Italietta.

La normativa di emergenza è stata sempre seguita da episodi criminali e da delitti eccellenti, come il delitto di Pio La Torre, che spinse il legislatore nel 1982 a istituire la normativa sui sequestri dei patrimoni patrimoniali (Legge 646/1982) e l'inserimento del “416 bis” c.p.,  di nuovo nel 1992, quando alle efferate stragi che videro morire i giudici Falcone  e Borsellino,  si istituì la Direzione Investigativa Antimafia, e così via sino ai giorni nostri.

Nuovo giro nuova corsa, siamo arrivati all’Expo, nuovi giri di vite (a vuoto) contro la cosiddetta criminalità organizzata. Ma organizzata da chi ?
Il sistema culturale italico è imperniato sulla cultura della raccomandazione, sull’amicizia, la conoscenza. E’ difficile fare qualsiasi cosa in modo normale, istituzionale, il dibattito politico non si fa nelle aule parlamentari, ma ad Arcore, al Marriot Hotel di Copenaghen, nelle sale delle cappelle che inneggiamo blasfeme al Sacro Nome di Dio. 
Ma in nome dell’intelligenza che ci differenzia ( asseritamente ) dagli altri primati, non vediamo ciò che è a portata della nostra comprensione, non vediamo quanto sia più importante prevenire l’illiceità dei comportamenti di deviazione sociale del cittadino, che di doverli in seguito reprimere.

Nella nostra cultura gerontocratica, propria di un paese di anziani, abbiamo perso di vista completamente l’importanza della scuola, non vista nell’ottica dei calcinacci che piovono in testa agli scolari, ma da ciò e come viene loro insegnato. Imbottire le capocce degli studenti di crema alla scienza, non significa formare la futura donna, il futuro marito, la generazione successiva che reggerà le sorti del nostro paese. 
Peraltro, nell'attuale programma politico, nessuna delle fazioni ha mai presentato una riforma della scuola che possa realmente formare, come avviene nei paese del nord Europa.

La nostra politica è così miope da non vedere oltre il limitato terreno delle proprie ambizioni, per notare il problema di una scuola non più adatta a preparare il cittadino del nuovo secolo, imbrattata dal servilismo ad un sistema concepito non intorno alla formazione etica dei ragazzi, ma alla sterile assunzione di concetti, che mai diverranno solida educazione del cittadino ideale, come quello disegnato nella Nuova Atlantide, opera incompiuta da Francesco Bacone.

A voi la palla.



mercoledì 4 giugno 2014

Un Front National anche per l’Italia di Eugenio Orso

Eugenio dell'Orso ha voluto fornire un poderoso contributo al dibattito culturale sull'analisi dell'evoluzione politico/sociale del nostro paese e dell'Europa intera, in cui nuove e vigorose forze stanno spingendo verso l'evoluzione del sistema.
L'autore apre la sua esposizione citando il filoso e saggista Costanzo Preve, deceduto a Torino lo scorso anno, il quale esprime le sue idee dopo la lettura del libro di Marine Le Pen, Pour que vive la France del 2012, nel suo "Se fossi francese".
Dall'analisi delle parole del compianto Costanzo Preve, Eugenio dell'Orso ha potuto mutare il parere su  Marine le Pen, signifiando la possibilità della collocazione della donna quale protagonista nel processo di rivoluzione culturale dell'Europa.
Sicuramente come ogni epoca di passaggio, potrebbe essere foriera di rigurgiti nazionalisti, ma sono moderatamente ottimista al riguardo.

Buona lettura.

http://pauperclass.myblog.it/2014/06/02/front-national-anche-litalia-eugenio-orso/?ac=1#ac

domenica 1 giugno 2014

Francesco Bacone - La nuova Atlantide



Francesco Bacone


La Nuova Atlantide
Salpammo dal Perù (dove eravamo rimasti per un intero anno) verso la Cina e il Giappone, attraverso il Mare del Sud, portandoci viveri per dodici mesi; e avemmo venti favorevoli da oriente, sebbene calmi e deboli, per lo spazio di cinque mesi e più. Ma poi il vento si volse e rimase a occidente per molti giorni, tanto che non potemmo fare se non poca o nessuna strada, e fummo qualche volta sul punto di ritornare. Ma poi di nuovo si alzarono forti e grandi venti da meridione, un grado a est; ed essi ci spinsero nostro malgrado verso il settentrione; intanto i viveri finirono sebbene ne avessimo usato parcamente. Così, trovandoci nel mezzo della più ampia distesa d’acque del mondo senza viveri, ci considerammo perduti e ci preparammo a morire. Innalzavamo tuttavia il cuore e la voce al Dio dei cieli, il quale “mostra i Suoi miracoli nel profondo”, impetrandolo che per la Sua misericordia, come nel principio aveva rivelato la faccia dell’abisso producendo la terraferma, cosi rivelasse ora la terra a noi, affinchè non perissimo.
E accadde che verso sera del giorno seguente scorgemmo a una ventina di miglia davanti a noi, verso settentrione, certe dense nubi che ci diedero qualche speranza di terra, sapendo come quella parte del Mare del Sud fosse completamente sconosciuta, e potesse contenere isole o continenti che ancora non fossero venuti alla luce. Volgemmo perciò la nostra rotta al punto in cui vedevamo indizi di terra per tutta quella notte e, all’albeggiare del giorno seguente, potemmo distinguere chiaramente che si trattava di una terra, che alla nostra vista appariva piatta e piena di boschi, la qual cosa la faceva sembrare tanto più scura. E dopo un’ora e mezzo di navigazione, entrammo in una buona insenatura, che era il porto di una bella città: per la verità non grande, ma ben costruita, e che offriva una piacevole vista dal mare. Noi, che non vedevamo l’ora di essere sulla terraferma, accostammo alla riva e facemmo per sbarcare. Ma immediatamente vedemmo parecchie persone che, con bastoni in mano, sembravano volerci vietare di scendere a terra, senza però grida od ostilità, ma solo come per avvertirci di stare al largo con i cenni che facevano. Essendo da questo non poco disanimati, ci mettemmo a deliberare sul da farsi.
Nel frattempo si avvicinò a noi una piccola imbarcazione, con circa otto persone a bordo, una delle quali aveva in mano una verga di canna gialla con i due puntali azzurri; essa sali a bordo della nostra nave senza la minima apparenza di sospetto. E quando vide uno dei nostri farsi un poco avanti rispetto agli altri, trasse un piccolo rotolo di pergamena (alquanto più gialla della nostra pergamena, e lucente come i piani delle tavole scrittorie, ma per il resto morbida e flessibile), e la consegnò al nostro capo. Sul rotolo erano scritte in antico ebraico, in antico greco, nel buon latino della scuola e in spagnuolo queste parole: « Non sbarcate, nessuno di voi, e fate in modo di allontanarvi da questa costa entro sedici giorni, a meno che non vi sia concesso più tempo. Frattanto, se avete bisogno di acqua, o di vitto, o di aiuto per gli infermi, o se la vostra nave esige riparazioni, trascrivete le vostre necessità, e riceverete quello che compete alla misericordia. » II rotolo era suggellato da uno stemma con ali di cherubino, non aperte, ma ripiegate verso il basso; e accanto a esse una croce. Dopo che questo fu consegnato, il messo se ne andò, lasciando da noi soltanto un servitore perché ricevesse la nostra risposta.


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Nel consultarci fummo molto perplessi. Il divieto di sbarco e l’impaziente avvertimento di allontanarci ci turbavano assai; d’altra parte, scoprire che quella gente conosceva le lingue ed era così piena di umanità ci confortava non poco. E sopra tutto il segno della Croce su quel documento era per noi motivo di grande gioia e starei per dire un certo presagio di bene. La nostra risposta fu data in lingua spagnuola: “che quanto alla nostra nave, essa era a posto, perché ci eravamo imbattuti in calme e venti contrari più che in tempeste. Quanto agli infermi, essi erano molti, e in condizione molto grave; tanto che se non si fosse permesso loro di sbarcare sarebbero stati in pericolo di morte”. Specificammo nei particolari le altre nostre necessità, aggiungendo “che avevamo una piccola scorta di mercanzia la quale, se di essa fosse loro piaciuto approfittare, avrebbe potuto supplire le nostre necessità senza che queste dovessero gravare su di loro”. Offrimmo al servo una ricompensa in pistole e una pezza di velluto cremisi da donare al messo; ma il servo non le prese e non volle neppure vederle; e cosi ci lasciò e fece ritorno in un’altra piccola imbarcazione che era stata mandata a prenderlo.
Circa tre ore dopo che avevamo consegnato la nostra risposta, giunse alla nostra volta una persona importante (a quanto sembrò). Indossava una veste con ampie maniche, d’una specie di cammello chiaro, di un bellissimo colore azzurro, molto più lucido del nostro; sotto, il suo indumento era verde, e così anche il suo cappello che era a forma di turbante, fatto elegantemente, ma non enorme come i turbanti turchi; e i riccioli della chioma gli scendevano da sotto l’orlo d’esso. Egli era un uomo d’onorabile aspetto. Giunse in una barca, in alcune parti dorata, con solo altre quattro persone a bordo, ed era seguito da un’altra imbarcazione nella quale era una ventina di persone. Quand’egli fu giunto a un tiro d’arco dalla nostra nave, ci fecero segno di mandargli incontro qualcuno in acqua, il che facemmo immediatamente per mezzo della scialuppa, mandandogli il nostro secondo, e con lui quattro dei nostri.
Quando fummo giunti a sei iarde dalla loro barca, ci gridarono di fermarci e di non avvicinarci più oltre, il che facemmo. E allora l’uomo che dianzi ho descritto si alzò e con voce forte domandò in spagnuolo: « Siete cristiani? » Rispondemmo di si, tanto meno intimoriti per la croce che avevamo visto nel sigillo. A tale risposta la detta persona alzò la mano destra al cielo e la portò delicatamente alla bocca (questo è il gesto che usano quando ringraziano Dio), poi disse: « Se giurerete voi tutti, per i meriti del Salvatore, che non siete pirati, e che da almeno quaranta giorni non avete sparso sangue legittimamente o illegittimamente, potrete avere il permesso di venire a terra. » Rispondemmo che eravamo tutti pronti a fare quel giuramento. Allora uno di quelli che erano con lui, evidentemente un notaio, registrò l’atto. Ciò fatto, un altro accompagnatore di quel gran personaggio, che era con lui nella stessa barca, dopo che il suo signore gli ebbe parlato un poco disse ad alta voce: « II mio signore vuole che sappiate che non è per orgoglio o grandezza ch’egli non viene a bordo della vostra nave; ma poiché nella vostra risposta dichiarate di avere molti infermi fra voi, egli è stato ammonito dal Conservatore della Salute della città di tenersi a distanza. » Ci inchinammo a lui e rispondemmo che eravamo i suoi umili servi, e che consideravamo atto di grande onore e di singolare umanità verso di noi ciò che era già stato fatto, ma che avevamo ragione di sperare che la natura della malattia dei nostri uomini non fosse infettiva. Cosi egli se ne tornò indietro; e un momento dopo venne a bordo della nostra nave il notaio, reggendo in mano un frutto di quel paese, simile a un’arancia, ma di un colore fra l’arancio scuro e il rosso, e che emanava un eccellente odore. Se ne serviva (così sembrò) come di un protettivo contro l’infezione. Egli ci suggerì la formula del giuramento: “Nel nome di Gesù e dei Suoi meriti”; e poi ci disse che il giorno seguente verso le sei del mattino saremmo stati mandati e accompagnati alla Casa dei Forestieri (cosi egli la chiamò), dove saremmo stati provveduti di cose sia per i sani sia per gli infermi. Indi ci lasciò; e quando gli offrimmo alcune pistole, egli sorridendo disse che non doveva essere pagato due volte per lo stesso lavoro: volendo dire (secondo me) che riceveva dallo stato un compenso sufficiente per il suo servizio. Essi infatti (come più tardi appresi) chiamano un funzionario che accetti ricompense un doppiamente pagato.
Il mattino dopo di buon’ora venne da noi lo stesso funzionario che era venuto la prima volta munito di verga, e ci disse che “era venuto a condurci alla Casa dei Forestieri; e ch’egli aveva anticipato l’ora perché potessimo disporre dell’intera giornata per le nostre faccende”. « Se infatti vorrete seguire il mio consiglio, — egli disse, — prima verranno con me alcuni di voi a vedere il posto e come possa essere adattato a voi; poi potrete mandare a prendere i vostri infermi e gli altri che volete portare a terra. » Lo ringraziammo e rispondemmo che Dio avrebbe ripagato la cura ch’egli si prendeva di forestieri sperduti. Cosi in sei andammo a terra con lui, e quando fummo sbarcati ci precedette, e si volse a noi dicendo ch’egli era soltanto il nostro servo e la nostra guida. Ci condusse attraverso tre belle strade; e lungo tutto il cammino che percorremmo erano radunate alcune persone in fila da entrambi i lati; ma in maniera cosi educata che non pareva fossero venute ad ammirarci, ma a darci il benvenuto; e parecchi di loro, al nostro passaggio, allargavano un poco le braccia, perché questo è il loro gesto per dare a qualcuno il benvenuto.
La Casa dei Forestieri è un bell’edificio spazioso, fatto di mattoni d’un colore un tantino più azzurro dei nostri e con belle finestre, alcune di vetro, altre di una specie di percalle cerato. Egli ci condusse dapprima in un bel salotto al piano superiore e poi ci domandò quanti fossimo, e quanti fossero i malati. Rispondemmo che eravamo in tutto (sani e malati) cinquantun persone, e di queste diciassette erano gli infermi. Egli ci invitò a pazientare un poco e ad aspettare il suo ritorno, che avvenne circa un’ora dopo; poi ci portò a vedere le stanze che ci erano assegnate, in numero di diciannove. E pareva che avessero stabilito che quattro di quelle stanze, che erano migliori delle altre, accogliessero quattro fra gli uomini più importanti della nostra compagnia e li alloggiassero singolarmente, mentre le altre quindici stanze dovevano alloggiare noi a due a due. Le stanze erano belle e ridenti e ammobiliate con decoro. Poi ci condusse in un lungo corridoio, simile a un dormitorio, dove ci mostrò, tutte su un lato (perché sull’altro lato v’erano soltanto la parete e le finestre) diciassette celle molto linde, con tramezzi di legno di cedro. Questo corridoio di celle, in tutto quaranta (molte di più di quante ci occorressero) era stato creato come infermeria per ammalati. E ci disse ancora che qualora qualcuno dei nostri infermi si fosse ristabilito, avrebbe potuto essere trasferito dalla cella a una camera; a questo scopo erano pronte dieci camere di riserva, oltre a quelle di cui abbiamo parlato prima. Dopo di che ci ricondusse nel salotto, e, alzando un poco la verga (come usano quando danno una disposizione o un comando), ci disse: « Bisogna che sappiate che il costume del paese esige che dopo oggi e domani (che noi vi concediamo per trasferire i vostri uomini dalla nave), dovrete rimanere dentro per tre giorni. Ma questo non vi turbi, e non consideratevi prigionieri, ma piuttosto lasciati in quiete e a vostro agio. Non vi mancherà nulla, e sei dei nostri uomini sono espressamente al vostro servizio per qualsiasi bisogna abbiate fuori di qui. » Lo ringraziammo con tutta gratitudine e rispetto e dicemmo: « Iddio è certamente manifesto in questo paese. » Gli offrimmo anche venti pistole; ma egli sorrise e disse appena: « Che? Doppiamente pagato! » E ci lasciò.
Poco dopo ci fu servito il pranzo, ch’era costituito di ottime vivande, sia per il pane sia per la carne: migliore di qualsiasi dieta collegiale che io conosca in Europa. Ci diedero anche bevande di tre sorte, tutte genuine e gustose: vino d’uva; una bibita ottenuta dai cereali, come la birra da noi, ma più chiara; e una specie di sidro fatto con un frutto di quel paese, una bevanda straordinariamente piacevole e rinfrescante. Inoltre ci fu portata gran copia di quelle certe arance rosse per gli infermi; le quali, ci dissero, erano un rimedio sicuro contro infermità contratte sul mare. Ci fu data anche una scatola di piccole pasticche grigie o bianchicce, che ci pregarono di far prendere ai nostri infermi in ragione di una ogni sera prima di dormire; ed esse, ci dissero, avrebbero affrettato la loro guarigione.
Il giorno seguente, dopo che il lavoro del trasferimento e del trasporto degli uomini e delle merci dalla nave fu in qualche modo concluso e risolto, pensai bene di convocare i nostri compagni; e quando furono riuniti dissi loro: « Miei cari amici, cerchiamo di renderci ben conto di come stiano le cose. Siamo stati gettati sulla terraferma, come lo fu Giona dal ventre della balena, quando eravamo come sprofondati nell’abisso: e ora che siamo sbarcati stiamo ancora tra la vita e la morte; ci troviamo infatti oltre l’Antico Mondo e il Nuovo; e Dio solo sa se mai vedremo ancora l’Europa. Una specie di miracolo ci ha portato in questo luogo, e dovrà essere qualcosa di poco inferiore a riportarci via di qui. Perciò, considerando la trascorsa salvezza e il pericolo presente e a venire, rivolgiamoci a Dio, e ognuno corregga sé stesso. Per di più siamo capitati tra un popolo cristiano, pieno di pietà e di carità: non rechiamo in noi la confusione di volto mostrando loro i nostri vizi o la nostra indegnità. Ma c’è dell’altro: essi infatti ci hanno d’autorità (sebbene in forma cortese) confinato entro queste mura per tre giorni; chi sa che non sia per avere un’idea dei nostri usi e delle nostre abitudini? e per cacciarci immediatamente giudicandoli cattivi, o per darci altro tempo giudicandoli buoni? Perché questi uomini che ci hanno dato a servizio possono anche sorvegliarci. Perciò, per amor di Dio, e se amiamo il bene della nostra anima e del nostro corpo, comportiamoci in modo da essere in pace con Dio e di poter trovare grazia agli occhi di questa gente. » La compagnia mi ringraziò unanime per il mio buon avvertimento e mi promise di vivere sobriamente e decorosamente e senza offrire il più piccolo motivo di offesa. Trascorremmo cosi i nostri tre giorni lietamente e senza preoccupazioni, in attesa di ciò che si sarebbe fatto di noi quando fossero passati. Durante questo tempo fummo allietati a ogni ora dal ristabilimento dei nostri infermi, ai quali pareva di essere stati immersi in chi sa quale divina piscina probatica, tanto dolcemente e prontamente si ristabilivano.
La mattina successiva ai tre giorni, venne da noi un uomo che non avevamo mai visto prima, vestito d’azzurro come il primo, solo che il suo turbante era bianco, con una piccola croce in cima. Aveva anche una stola di lino fine. Giungendo s’inchinò un poco verso di noi e allargò le braccia. Da parte nostra lo salutammo in maniera molto umile e sottomessa, come se ci attendessimo di ricevere da lui sentenza di vita o di morte. Egli espresse il desiderio di parlare con alcuni di noi. Allora restammo soltanto in sei e gli altri abbandonarono la stanza. Egli disse: « Per incarico sono Rettore di questa Casa dei Forestieri, e per vocazione sono sacerdote cristiano; e sono perciò venuto a offrirvi il mio servigio e come forestieri e, principalmente, come cristiani. Posso dirvi alcune cose che credo non udrete malvolentieri. Lo stato vi ha dato licenza di rimanere nel paese per lo spazio di sei settimane, e non preoccupatevi se le vostre esigenze richiedono altro tempo, perché la legge a questo proposito non è scrupolosa; e non dubito che io stesso sarò in grado di ottenervi tutto il tempo in più che possa tornarvi utile. Dovete anche sapere che in questo momento la Casa dei Forestieri è ricca e molto ben fornita, perché ha accumulato entrate in questi trentasette anni; da tanto tempo infatti nessuno straniero è più venuto da queste parti; perciò non datevi pensiero, lo stato vi manterrà per tutto il tempo che rimarrete. Né per questo dovrete rimanere un solo giorno di meno. Quanto alla mercanzia che avete portato, sarete trattati bene e ne avrete una ricompensa, o con altra mercé o con oro e argento: per noi infatti sono la stessa cosa. E se avete qualche altra richiesta da fare, non celatela; perché scoprirete che non vi deluderemo con la risposta che riceverete. Devo dirvi soltanto questo: nessuno di voi deve allontanarsi più di un karan (che è per loro un miglio e mezzo) dalle mura della città, senza uno speciale permesso. »
Dopo esserci guardati l’un l’altro per un attimo in segno d’ammirazione per questo trattamento generoso e paterno, rispondemmo che non sapevamo che dire, perché ci mancavano le parole per esprimere la nostra gratitudine, e che le sue nobili e spontanee offerte non ci lasciavano niente da chiedere. Che ci sembrava di avere davanti a noi l’immagine della nostra salvezza in Cielo, perché noi, che poco prima eravamo dentro le fauci della morte, eravamo ora stati portati in un luogo dove trovavamo soltanto consolazioni. Che quanto all’ordine datoci, non avremmo mancato di obbedirvi, sebbene fosse impossibile che i nostri cuori non ambissero di calcare più oltre quella terra felice e santa. Aggiungemmo che la nostra lingua si sarebbe attaccata al palato prima che avessimo a dimenticare la sua reverenda persona o tutta la nazione nelle nostre preghiere. Lo pregammo anche molto umilmente di accettarci come suoi leali servitori, con lo stesso legittimo principio per il quale poteva esserlo qualsiasi altro uomo in terra; e mettevamo ai suoi piedi e gli donavamo le nostre persone e tutto ciò che avevamo. Egli disse di essere un sacerdote e di cercare una ricompensa da sacerdote, cioè il nostro amore fraterno e il bene della nostra anima e del nostro corpo. Così se ne andò da noi, non senza lacrime di tenerezza agli occhi, e lasciò anche noi confusi di gioia e di bontà, convinti di essere venuti in una terra di angeli, che ci apparivano quotidianamente e ci prestavano conforti ai quali neppure pensavamo, e che tanto meno ci aspettavamo.
Il giorno seguente, intorno alle dieci, il Governatore tornò da noi e, dopo i saluti, ci disse amichevolmente che era venuto a farci visita; e si fece dare una sedia e si sedette; e una decina di noi (gli altri o erano subalterni o erano usciti) sedette con lui; e quando fummo seduti egli così cominciò: « Noi dell’isola di Bensalem (cosi infatti si chiama nella loro lingua) abbiamo questo privilegio: che a causa della nostra ubicazione isolata e delle leggi sulla segretezza che abbiamo per i nostri viaggiatori, e della rara ammissione di forestieri, conosciamo assai bene la maggior parte del mondo abitabile, mentre noi stessi siamo sconosciuti. Perciò, siccome si conviene che chi meno sa faccia domande, è più giusto che per passare il tempo voi facciate domande a me e non io a voi. »
Rispondemmo che lo ringraziavamo umilmente per il fatto che egli ci permettesse di fare questo, e che credavamo, per l’impressione che già ci eravamo fatta, che non vi fosse sulla terra nessuna cosa mortale più degna di essere conosciuta dello stato di quella terra felice. Ma che prima di ogni altra cosa (dicemmo), dal momento che ci eravamo incontrati pur dagli estremi del mondo e speravamo veramente di incontrarci un giorno nel regno del Cielo (perché da entrambe le parti eravamo cristiani), desideravamo sapere (considerando che quel territorio era cosi lontano e separato da vasti e ignoti mari dal paese nel quale il nostro Salvatore camminò sulla terra) chi fosse stato l’apostolo di quella nazione e come essa fosse stata convertita alla fede. Fu evidente dal suo volto ch’egli molto si compiacque di questa domanda; disse: « Legate a voi il mio cuore facendomi questa domanda per prima: perché questo dimostra che in primo luogo cercate il regno dei Cieli; e io con gioia soddisfarò brevemente alla vostra domanda.
« Circa venti anni dopo l’Ascensione del nostro Salvatore  accadde che la gente di Renfusa (una città sulla costa orientale della nostra isola) scorgesse (la notte era nuvolosa e tranquilla) a forse qualche miglio sul mare un gran pilastro di luce, non sottile, ma a forma di colonna o di cilindro, sorgere dal mare molto in alto verso il cielo; e sulla sua cima si vedeva una grande croce di luce, più luminosa e più splendente del corpo della colonna. A quello spettacolo cosi straordinario, gli abitanti della città si raccolsero prontamente sulla spiaggia ad ammirare, e quindi salirono su alcune piccole imbarcazioni per avvicinarsi alla meravigliosa visione. Ma quando le barche furono giunte a circa sessanta iarde dal pilastro, essi si trovarono del tutto incapaci di andare più oltre, tanto che potevano spostarsi per girare intorno, ma non potevano avvicinarsi di più; perciò le barche si fermarono tutte come in un teatro, guardando quella luce come un segno divino. Si diede il caso che vi fosse in una delle barche uno dei nostri saggi, della Società della Casa di Salomone, — casa questa o collegio, miei buoni fratelli, che è davvero l’occhio di questo regno, — il quale, dopo aver per un po’ attentamente e devotamente osservato e contemplato il pilastro e la croce, si gettò bocconi e poi si alzò sulle ginocchia e, levando le mani al cielo, pregò in questo modo:
« “Signore Iddio del Cielo e della terra; Tu hai concesso per Tua grazia a quelli del nostro ordine di conoscere le Tue opere della creazione e i loro segreti, e di distinguere (per quanto si conviene alla specie umana) fra i miracoli divini, le opere della natura, le opere dell’arte e le imposture e le illusioni d’ogni sorta. Dichiaro qui e testimonio davanti a questo popolo che ciò che ora vediamo dinanzi ai nostri occhi è il Tuo dito e miracolo vero. E poiché apprendiamo dai nostri libri che Tu non operi mai miracoli se non per un fine divino e superiore (perché le leggi della natura sono le Tue stesse leggi, e Tu non le oltrepassi se non per un grande motivo), noi Ti imploriamo molto umilmente di perfezionare questo grande segno e di darcene per misericordia il significato e il fine; il che già in parte tacitamente prometti, inviandolo a noi.”
« Appena egli ebbe detto la preghiera, si accorse che la sua barca poteva muoversi ed era libera, mentre tutte le altre rimanevano immobili; e considerando questa la conferma del permesso di avvicinarsi, diede ordine di remare dolcemente e in silenzio verso il pilastro. Ma prima ch’egli vi si avvicinasse, il pilastro e la croce di luce s’infransero e si dispersero quasi in un firmamento di molte stelle, le quali ben presto svanirono anch’esse e non rimase nient’altro da vedere se non una piccola arca o baule di cedro, asciutta e per niente bagnata dall’acqua, sebbene galleggiasse. E all’estremità ch’era rivolta verso di lui spuntò un verde rametto di palma; e quando il saggio l’ebbe presa sulla sua barca con grande devozione, si apri da sé e in essa furono trovati un libro e una lettera, entrambi scritti su fine pergamena e avvolti in sindoni di lino. Il libro conteneva tutti i libri canonici dell’Antico e del Nuovo Testamento, come voi li possedete (perché noi sappiamo bene che cosa accolgano le vostre Chiese), e la stessa Apocalisse; e alcuni altri libri del Nuovo Testamento,  che  a quel tempo  non erano  ancora stati scritti, erano tuttavia nel libro. La lettera poi recava queste parole:
« “Io Bartolomeo, servitore dell’Altissimo e Apostolo di Gesù Cristo, fui ammonito da un angelo che mi apparve in visione di gloria di affidare quest’arca ai flutti del mare. Perciò io attesto e dichiaro al popolo verso la cui terra Dio disporrà che quest’arca giunga che in quello stesso giorno è giunta loro la salvezza e la pace, e la benevolenza da parte del Padre e del Signore Gesù.”
« E per entrambi questi scritti, sia per il libro sia per la lettera, si operò un grande miracolo simile a quello degli apostoli con il dono immediato delle lingue. Infatti, essendovi a quel tempo in questa terra Ebrei, Persiani e Indiani, oltre agli aborigeni, ognuno di essi lesse il libro e la lettera come se fossero stati scritti nelle rispettive lingue. E cosi questa terra fu salvata dall’infedeltà (come i resti dell’Antico Mondo dalle acque) da un’arca, per mezzo dell’evangelo apostolico e miracoloso di San Bartolomeo. » A questo punto egli tacque, e giunse un messaggiero che lo fece allontanare da noi. E questo è tutto quanto fu detto in quell’incontro.
Il giorno seguente, lo stesso Governatore tornò da noi subito dopo il pranzo e si scusò dicendo che il giorno prima era stato allontanato da noi piuttosto bruscamente, ma che voleva ora riparare passando il tempo con noi se stimavamo gradevole la sua compagnia e il suo discorrere. Rispondemmo che ci erano tanto graditi e accetti, che dimenticavamo sia i pericoli passati sia i timori per il futuro mentre lo sentivamo parlare; e che ci sembrava che un’ora passata con lui valesse anni della nostra vita precedente. Egli s’inchinò leggermente verso di noi, e dopo che ci fummo riseduti disse: « Bene, a voi le domande. »
Dopo breve silenzio, uno di noi disse che c’era una cosa che non eravamo meno desiderosi di sapere di quanto non fossimo restii a domandare, nel timore di presumere troppo. Ma che, incoraggiati dalla sua rara umanità verso di noi (tanto che non potevamo neppure considerarci forestieri, essendoci votati e dichiarati al suo servizio), avremmo preso l’ardire di proporgliela, pregandolo umilmente che se avesse giudicato la domanda indegna di risposta, la perdonasse pur rigettandola. Dicemmo di aver ben notato il discorso che aveva fatto prima, secondo cui quell’isola felice, nella quale ora eravamo, era nota a pochi eppure conosceva la maggior parte delle nazioni del mondo, e questo avevamo costatato essere vero considerando che possedevano le lingue d’Europa e che conoscevano molte cose sulla nostra vita e sulle nostre attività; mentre noi in Europa (nonostante tutte le scoperte e le navigazioni degli ultimi tempi in paesi lontani) non avevamo mai sentito un indizio o un cenno anche minimi di quell’isola. Questo ci pareva oltremodo strano; perché tutte le nazioni si conoscono tra loro o attraverso viaggi in paesi stranieri, o per mezzo di forestieri che giungono presso di loro; e che sebbene il viaggiatore in paese straniero generalmente impari dall’aver visto più di chi stando in casa possa apprendere dal racconto del viaggiatore, tuttavia entrambe le cose bastano a stabilire una mutua conoscenza in certo modo in entrambe le parti. Ma quanto a quest’isola, non avevamo mai sentito dire che una sua nave fosse stata vista giungere a una costa d’Europa, e neppure delle Indie Orientali od Occidentali; e neanche di qualunque nave di qualsiasi altra parte del mondo che avesse fatto ritorno da essa. Eppure il fatto straordinario non era questo, perché la sua ubicazione (come aveva detto sua eccellenza) nel segreto conclave di un mare così vasto poteva esserne la ragione. Ma il fatto che essi fossero a conoscenza delle lingue, dei libri, dei negozi di coloro che si trovavano a tanta distanza era cosa che non sapevamo come spiegarci; poiché ci pareva una condizione e una virtù delle potenze e degli esseri divini quella di essere celati e invisibili agli altri, e di vedere tuttavia gli altri chiaramente illuminati.
A queste parole il Governatore sorrise benevolmente e disse che avevamo fatto bene a domandare scusa per la domanda che gli avevamo rivolto, perché essa lasciava quasi intendere che noi considerassimo quel paese un paese di maghi che mandavano spiriti dell’aria da ogni parte perché portassero loro notizie e informazioni di altri paesi. Noi tutti rispondemmo con ogni possibile umiltà, e tuttavia con espressione consapevole, che sapevamo ch’egli lo diceva soltanto per celia; che eravamo piuttosto indotti a pensare che vi fosse qualcosa di soprannaturale nell’isola, ma più angelico che non magico. Ma a voler dire onestamente a sua eccellenza che cosa fosse che ci rendeva tanto timidi e dubbiosi nel porre la domanda, non era stata un’idea del genere, ma il fatto che rammentavamo ch’egli ci aveva informato nel suo colloquio precedente che il paese aveva leggi di segretezza riguardo ai forestieri. A questo egli rispose: « Rammentate giustamente; per questo motivo devo dirvi che sono costretto a celarvi alcuni particolari che non mi è consentito rivelare, ma rimarrà abbastanza da darvi soddisfazione.
« Dovete sapere (cosa che difficilmente vi parrà credibile) che circa tremila anni fa, o forse più, la navigazione del mondo (specialmente le lunghe traversate) era più intensa di quella di oggi. Non giudicate dal vostro caso particolare; non credete ch’io non sappia quanto si sia accresciuta da voi negli ultimi centoventi anni; lo so bene, eppure vi dico che allora era più intensa di oggi; fosse che l’esempio dell’arca che salvò gli uomini superstiti dal diluvio universale suggerisse la fiducia ad avventurarsi sulle acque, o fosse qualsiasi altra cosa; ma questa è la verità. I Fenici, e specialmente i Tirii, avevano grandi flotte; cosi fecero una loro colonia dei Cartaginesi che pur si trovavano più a occidente. A oriente la navigazione dell’Egitto e della Palestina era parimente grande. Anche la Cina e la grande Atlantide (che voi chiamate America), che ora hanno soltanto giunche e canoe, abbondavano allora di grandi navi. Quest’isola (come appare da registri degni di fede di quei tempi) aveva allora millecinquecento robuste navi di grande capacità. Di tutto questo da voi c’è scarsa memoria o nessuna, mentre noi ne abbiamo un’ampia conoscenza.
« In quel tempo questa terra era nota e frequentata dalle navi e dai vascelli di tutte le nazioni dianzi nominate. E (come suole avvenire) molte volte venivano con essi persone di altri paesi, che non erano marinai: Persiani, Caldei, Arabi; cosi che quasi tutte le nazioni potenti e famose affluivano qui; e di esse abbiamo ancora oggi qualche famiglia e piccoli gruppi presso di noi. Quanto alle nostre navi, esse fecero numerosi viaggi, sia verso lo stretto che voi chiamate Colonne d’Ercole, sia verso altre parti dei mari Atlantico e Mediterraneo, sia verso Paguin (che è poi la stessa Cambaline) e Quinzy, sui mari orientali, fino al confine della Tartaria orientale.
« Nello stesso tempo, e per un altro secolo o più, fiorirono gli abitanti della grande Atlantide. Infatti, sebbene la narrazione e descrizione che un grande uomo ha fatto presso di voi dei discendenti di Nettuno che colà si stabilirono, e del tempio, del palazzo, della città e della collina grandiosi, e dei vari corsi di fiumi ben navigabili (che come altrettante catene circondavano quello stesso luogo e il tempio), e dei numerosi gradini della salita, per i quali si ascendeva al medesimo, come se fosse stata una Scala Coeli, siano tutte poetiche e favolose, tuttavia è vero questo: che il detto paese di Atlantide, così come quello del Perù che allora era chiamato Coya, cosi come quello del Messico che allora era chiamato Tyrambel, erano regni potenti e fieri per armi, navigazione e ricchezze; tanto potenti che in una sola volta (o almeno nello spazio di dieci anni), fecero entrambi due grandi spedizioni: quelli di Tyrambel verso il Mediterraneo attraverso l’Atlantico, e quelli di Coya attraverso il Mare del Sud verso questo nostra isola; della prima, che fu quella in Europa, quello stesso vostro autore pare avesse qualche notizia dal sacerdote egiziano ch’egli cita. E tale cosa avvenne senz’altro. Che siano poi stati gli antichi Ateniesi ad aver avuto la gloria di respingere quelle forze e di resistervi, io non so; ma è certo che non tornò mai indietro nave o uomo da quel viaggio. Né il viaggio di quelli di Coya nella nostra terra avrebbe avuto miglior fortuna se essi non si fossero imbattuti in nemici di più grande clemenza. Poiché il re di quest’isola, il cui nome era Altabino, uomo saggio e grande guerriero, ben conoscendo la propria forza e quella dei suoi nemici, condusse le cose in modo da isolare le loro forze di terra dalle navi, e immobilizzò la flotta e l’esercito con forze maggiori delle loro per terra e per mare, e li costrinse ad arrendersi senza colpo ferire; e quando essi furono alla sua mercé, unicamente fidandosi del giuramento ch’essi non avrebbero più portato le armi contro di lui, li lasciò andare tutti sani e salvi.
« Ma non molto tempo dopo la vendetta divina raggiunse quelle orgogliose imprese. Infatti, entro uno spazio inferiore ai cento anni, la Grande Atlantide fu completamente perduta e distrutta; non da un gran terremoto, come dice il vostro autore (perché quell’intero territorio va ben poco soggetto ai terremoti), ma da un parziale diluvio o inondazione, essendovi in quei paesi anche oggi fiumi ben più grandi e montagne ben più alte per riversare acqua di quanto non ne abbia qualsiasi parte del Vecchio Mondo. Ma è vero che questa inondazione non fu alta, non oltrepassando i quaranta piedi dal suolo nella maggior parte dei punti, così che, sebbene essa distruggesse generalmente uomini e animali, tuttavia si salvarono alcuni pochi abitatori selvaggi della foresta. Scamparono anche gli uccelli, volando sugli alti alberi e nei boschi elevati. Quanto poi agli uomini, sebbene essi avessero in molti punti edifici più alti della profondità dell’acqua, tuttavia l’inondazione, per quanto fosse scarsa, ebbe lunga durata, onde quelli della pianura che non furono annegati perirono per mancanza di cibo e di altre cose necessarie.
« Non stupitevi perciò dell’esigua popolazione dell’America o della rozzezza e dell’ignoranza di quel popolo; dovete infatti considerare i vostri abitatori d’America un popolo giovane, più giovane mille anni almeno del resto del mondo, perché tanto fu il tempo fra il diluvio universale e la loro inondazione parziale. Infatti, i poveri superstiti della specie umana che rimanevano sulle montagne popolarono di nuovo lentamente il paese, a poco a poco, ed essendo gente semplice e selvaggia (non come Noè e i suoi figli, che erano la prima famiglia della terra), non furono in grado di trasmettere lettere, arti e civiltà ai loro posteri; ed essendosi parimente abituati nelle loro dimore montane (per via del freddo eccezionale di quelle regioni) a vestirsi di pelli di tigri, di orsi e di grandi capre vellose che hanno da quelle parti, quando poi vennero giù nella vallata e vi trovarono le intollerabili calure, non conoscendo modi più leggieri di vestirsi furono costretti a cominciare l’uso di andare nudi, che continua ancora oggi. Soltanto, molto si vantano e si compiacciono delle piume degli uccelli, e anche questo l’hanno derivato da quei loro antenati delle montagne, che vi erano stati indotti dall’infinito volo di uccelli che erano saliti ai terreni elevati fin tanto che sotto rimanevano le acque. Vedete perciò come, per questo importante incidente del tempo, perdemmo il nostro traffico con gli Americani, con i quali più che con tutti gli altri avevamo moltissimo commercio per il fatto che si trovavano più vicini a noi.
« Quanto alle altre parti del mondo, è ben evidente che nelle età seguenti (fosse a causa delle guerre o per una naturale evoluzione del tempo) la navigazione declinò dappertutto grandemente; e specie i lunghi viaggi (principalmente per l’uso di galee e di vascelli che potevano a malapena solcare l’oceano) furono completamente abbandonati e trascurati. Perciò vedete come da gran tempo sia cessata quella parte degli scambi che ci poteva venire da altre nazioni che navigassero verso di noi, eccetto per qualche raro caso come questo vostro. Ma ora, della cessazione dell’altra parte degli scambi che poteva avvenire attraverso i nostri viaggi verso altre nazioni, debbo fornirvi qualche altra causa. Infatti, non posso negare, a voler parlare francamente, che la nostra flotta, per numero, forza, marinai, piloti e tutte le cose che riguardano la navigazione sia grande come prima; e perciò vi darò ora una spiegazione a parte del motivo per il quale ce ne restiamo in patria; e con vostra soddisfazione si avvicinerà di più alla vostra domanda principale.
« Regnava in quest’isola circa 1900 anni fa un re, la cui memoria più di quella d’ogni altro veneriamo, non superstiziosamente, ma come uno strumento divino, sebbene si sia trattato d’un mortale; il suo nome era Solamona, e lo consideriamo il legislatore del nostro paese. Questo re aveva un grande cuore inscrutabile per bontà, ed era completamente dedito a far felice il suo regno e la sua gente. Avendo egli perciò osservato quanto sufficiente e ricca fosse questa terra per mantenersi da sé assolutamente senza alcun aiuto straniero, avendo essa 5600 miglia di circonferenza e per lo più un suolo di rara fertilità; e considerando anche che la navigazione di questo paese avrebbe potuto essere resa assai attiva con la pesca e con i trasporti di golfo in golfo, e altresì veleggiando verso certe isolette che non sono lontane da noi e sono soggette alla corona e alle leggi di questo Stato; e richiamando alla propria mente la condizione felice e fiorente in cui si trovava allora questa terra, tanto che in mille modi avrebbe potuto essere trasformata in peggio ma difficilmente in meglio in un qualsiasi modo, niente mancava alle sue nobili ed eroiche intenzioni, se non (per quanto avanti potesse spingersi la previsione umana) dare continuità a quel che era in quel momento così felicemente in essere. Perciò, fra le altre sue leggi fondamentali di questo regno, decretò gli interdetti e le proibizioni che abbiamo riguardo all’ingresso degli stranieri, che in quel tempo (sebbene successivo alla calamità dell’America) era frequente, temendo innovazioni e mescolanze di costumi. È vero che una simile legge contro l’ammissione di forestieri senza permesso è un’antica legge del regno di Cina, che continua ancora nell’uso. Colà è però povera cosa; e ne ha fatto una nazione curiosa, ignorante, timorosa, sciocca. Ma il nostro legislatore fece la legge d’uno spirito diverso. Infatti, per prima cosa egli ha tutelato tutti gli elementi di umanità nel disporre e nel provvedere al soccorso dei forestieri in difficoltà; e questo l’avete sperimentato. »
A queste parole (così come si conveniva) ci alzammo tutti e c’inchinammo. Egli proseguì:
« Quel re, desiderando però unire insieme umanità e senso politico, e pensando che fosse contrario all’umanità trattenere qui i forestieri contro la loro volontà, e che fosse contro il senso politico che ritornassero e rivelassero la loro conoscenza di questo stato, prese questa via: egli ordinò che i forestieri che avessero avuto il permesso di sbarcare potessero ripartire (ogni volta) tanti quanti lo volessero; ma quelli che fossero voluti rimanere avrebbero ottenuto dallo stato ottime condizioni e mezzi per vivere. E in questo egli vide tanto lontano, che ora, a tanti secoli dal divieto, non serbiamo memoria che una sola nave mai sia ripartita, mentre soltanto tredici persone, in tempi diversi, preferirono ripartire sui nostri legni. Io non so che cosa quei pochi che sono tornati abbiano potuto riferire all’estero. Ma credete pure che qualsiasi cosa abbiano detto non poteva essere preso dove andarono se non come un sogno. Quanto poi ai nostri viaggi dal nostro ad altri paesi, il nostro legislatore pensò bene di proibirli del tutto. Non è così in Cina. Infatti, i Cinesi vanno per mare dove vogliono o dove possono; la qual cosa mostra che la loro legge dell’esclusione dei forestieri è una legge di pusillanimità e di paura. Tuttavia, questo nostro divieto ha un’unica eccezione che è ammirevole, in quanto mantiene il beneficio che viene dal commercio con i forestieri, mentre ne evita il danno: e ora ve lo spiegherò. E a questo punto parrà ch’io divaghi un poco, ma più in là giudicherete la cosa pertinente.
« Dovete sapere, miei cari amici, che tra le opere eccellenti di quel sovrano una sopra tutte ha la preminenza. Questa fu la creazione e l’istituzione di un ordine, o società, che chiamiamo Casa di Salomone, che noi crediamo sia la fondazione più nobile che mai sia stata sulla terra e il faro di questo regno. Essa è destinata allo studio delle opere e delle creature di Dio. Alcuni pensano che porti il nome del fondatore un poco alterato, in quanto dovrebbe chiamarsi Casa di Solamona. Ma i documenti lo scrivono come è pronunciato. Perciò io lo considero derivato dal re degli Ebrei, che è famoso presso di voi e per nulla ignoto a noi; infatti noi abbiamo alcune parti delle sue opere che per voi sono perdute, vale a dire quella Storia Naturale ch’egli scrisse di tutte le piante, dal cedro del Libano al muschio che spunta sui muri, e di tutte le cose che hanno vita e movimento. Questo mi fa pensare che il nostro re, scoprendo di avere molti punti in comune con quel re degli Ebrei (che era vissuto molti anni prima di lui), lo onorasse con il titolo di questa fondazione. E sono tanto più indotto a essere di questa opinione in quanto scopro negli antichi documenti che quest’ordine o società è talvolta chiamata Casa di Salomone, e talvolta Collegio delle Opere dei Sei Giorni; dal che mi risulta che il nostro eccellente sovrano avesse appreso dagli Ebrei che Dio aveva creato il mondo e tutto ciò che vi si trova nello spazio di sei giorni: e perciò egli, istituendo quella casa per la scoperta della vera natura di tutte le cose (in modo che Dio potesse avere tanta più gloria per averle create, e gli uomini un frutto tanto maggiore nel servirsene), diede a essa anche quel secondo nome.
« Ma veniamo ora all’argomento che ci interessa. Dopo che il re ebbe proibito a tutto il suo popolo di navigare verso qualsiasi paese che non fosse sotto la sua corona, emanò tuttavia quest’ordinanza: che ogni dodici anni fossero inviate da questo regno due navi, destinate a viaggi diversi; che in ognuna di queste navi vi fosse una missione di tre membri o confratelli della Casa di Salomone, il cui scopo dovesse essere soltanto quello di metterci a conoscenza degli affari e dello stato di quei paesi ai quali erano indirizzati; e in particolare delle scienze, delle arti, delle produzioni e delle invenzioni di tutto il mondo; e altresì perché ci portassero libri, strumenti e campioni d’ogni sorta; che le navi, dopo aver fatto sbarcare i confratelli, ritornassero, e che i confratelli rimanessero all’estero fino alla successiva missione. Queste navi d’altro non sono cariche se non di vettovaglie e di grande quantità di denaro da lasciare ai confratelli per l’acquisto di quelle cose e per il compenso di quelle persone ch’essi giudichino conveniente. Quanto però a dirvi come si impedisce che i semplici marinai siano scoperti in terraferma, e come quelli che devono essere fatti sbarcare per qualche tempo si celino sotto i nomi di altre nazioni, e per quali località questi viaggi siano stati stabiliti, e quali luoghi d’incontro siano fissati per le nuove missioni, e simili particolari dell’impresa, non posso farlo, né voi desiderate tanto. Ma avete cosi veduto che manteniamo un commercio, non per oro, argento o gioielli, né per sete o per spezie o per alcun altro bene materiale, ma solo per la prima cosa creata da Dio, che fu la luce: per aver luce, dico, sullo sviluppo di tutte le parti del mondo. »
E quando ebbe detto questo tacque, e cosi noi tutti; perché veramente eravamo tutti stupiti di aver udito cose cosi straordinarie dette in maniera cosi convincente. Essendosi poi accorto che eravamo ansiosi di dire qualcosa, ma che non l’avevamo pronta, con grande cortesia ci tolse d’imbarazzo, e passò a farci domande sul nostro viaggio e sulle nostre vicende; e alla fine concluse che avremmo fatto bene a pensare tra noi quanto tempo di permanenza volessimo richiedere allo stato, e ci invitò a non fissare dei limiti ristretti perché egli ci avrebbe procurato quanto tempo avessimo desiderato. Allora noi tutti ci alzammo e facemmo per baciare il lembo della sua cappa, ma egli non ce lo permise e prese commiato. Ma non appena fu risaputo fra i nostri uomini che lo stato soleva offrire possibilità ai forestieri che volessero rimanere, dovemmo faticare abbastanza perché alcuni di essi badassero alla nave, e per trattenerli dall’andare immediatamente dal Governatore a impetrare condizioni; soltanto molto a fatica riuscimmo a raffrenarli sino al momento in cui ci fossimo accordati sulla via da prendere.
Ora ci stimavamo uomini liberi, vedendo che non v’era alcun pericolo di rovina totale, e vivevamo assai allegramente, uscendo e vedendo ciò che c’era da vedere nella città e nei luoghi vicini, entro la nostra portata, e facendo conoscenza con molti in città, non di grado troppo inferiore, nel cui modo di trattare scoprimmo tanta umanità e tale liberalità e tale sollecitudine di accogliere i forestieri, per cosi dire, nel proprio cuore, da essere sufficiente a farci dimenticare tutto ciò che dei nostri paesi ci era caro; e di continuo ci imbattevamo in molte cose davvero degne di essere osservate e riferite; tanto che veramente se v’è uno specchio al mondo degno di avvincere gli sguardi umani, esso è quel paese.
Un giorno, due del nostro equipaggio furono invitati a una festa della famiglia, come la chiamano; questa è un’usanza assai naturale, pietosa e venerabile, che mostra come quella nazione sia fatta di ogni cosa buona. Ecco come avviene. Si consente a ogni uomo che viva tanto da vedere trenta persone discese dal suo corpo, tutte vive e tutte superiori ai tre anni, di fare questa festa, che si celebra a spese dello stato. Il padre della famiglia, che chiamano Tirsan, due giorni prima della festa chiama a sé tre amici a sua scelta, ed è anche assistito dal Governatore della città o del luogo dove la festa è celebrata, e tutti i membri della famiglia, di entrambi i sessi, sono convocati a intervenire. Per questi due giorni il Tirsan siede in consultazione intorno al buon andamento della famiglia. Qui, se v’è una discordia o una lite fra persone della famiglia, essa è composta e placata. Qui, se qualcuno della famiglia è in angustie o in rovina, si dispongono per lui aiuti e mezzi sufficienti a vivere. Qui, se qualcuno è succubo del vizio o segue cattive strade, è riprovato e censurato. Si danno anche suggerimenti circa i matrimoni e l’indirizzo di vita che ciascuno di loro dovrebbe prendere, con diverse altre disposizioni e consigli del genere. Il Governatore è presente a fine di mettere in esecuzione, in virtù della sua pubblica autorità, i decreti e gli ordini del Tirsan, se questi dovessero essere disobbediti, sebbene ciò sia raramente necessario, tanta è la venerazione e l’obbedienza che riconoscono all’ordine di Natura. Parimente in quell’occasione, il Tirsan sceglie sempre uno dei suoi figli perché venga a vivere con lui nella sua casa; e da quel momento questo è chiamato il Figlio della Vigna. Il motivo sarà subito evidente.
Il giorno della festa, il padre o Tirsan entra dopo il servizio divino in una grande sala dove si celebra la festa; e questa sala ha una pedana rialzata a un’estremità. Contro la parete, al centro della pedana, è collocata per lui una sedia e davanti a questa una tavola ricoperta da un tappeto. Sopra il seggio c’è un baldacchino rotondo od ovale, ed è di edera; un’edera alquanto più chiara della nostra, come la foglia del pioppo argentato, ma più lucente; infatti essa rimane verde tutto l’inverno. E il baldacchino è minutamente lavorato con argento e seta di diversi colori, che adornano l’edera o si intrecciano con essa; ed è sempre opera di qualcuna delle figlie della famiglia, ed è velato in cima da un sottile pizzo di seta e d’argento. Ma l’ossatura è costituita da vera edera, e di essa, dopo che è smontata, gli amici di famiglia sono desiderosi di avere qualche foglia o ramoscello da conservare.
Il Tirsan entra con tutti i suoi figli o discendenti, i maschi davanti a lui e le femmine al suo seguito; e se c’è una madre dal cui corpo è discesa l’intera stirpe, nella galleria superiore è posto un paravento, a destra del seggio, con un ingresso nascosto e una finestra di vetro cesellato impiombata di oro e di azzurro; là ella siede senza essere veduta. Dopo essere entrato, il Tirsan si siede sul seggio; e tutti i discendenti si collocano contro la parete, sia alle sue spalle sia sull’orlo della pedana, in ordine d’età e senza differenza di sesso, e rimangono in piedi. Quand’egli si è seduto, nella stanza, sempre piena di gente ma ben disposta e non in disordine, dopo qualche tempo entra dall’estremità opposta della sala un Taratan (che equivale a un araldo) e ai suoi lati due giovani paggi, dei quali uno reca un rotolo di quella loro luminosa pergamena gialla, e l’altro un grappolo d’uva d’oro, con lungo stelo o gambo. L’araldo e i giovinetti sono vestiti di mantelli di raso verdemare; ma il mantello dell’araldo è tutto adorno d’oro e ha uno strascico.
Poi l’araldo, con tre riverenze o piuttosto inchini, avanza sino alla pedana e qui per prima cosa prende in mano il rotolo. Questo rotolo è un documento del re che contiene il dono di un’entrata e molti privilegi, esenzioni e titoli d’onore conferiti al padre della famiglia; ed è sempre indirizzato e rivolto “A tale persona, nostro beneamato amico e creditore”, che è titolo conveniente solo a questo caso. Infatti, essi dicono che il re non è debitore di nessuno se non per la propagazione dei sudditi. Il sigillo apposto al documento regale è l’immagine del re, sbalzata o plasmata d’oro; e sebbene tali documenti siano mandati abitualmente, e quasi di diritto, sono tuttavia modificati a discrezione, secondo il numero e la dignità della famiglia. Il documento viene letto a voce alta dall’araldo; e mentre viene letto, il padre o Tirsan rimane in piedi, sostenuto da due dei figli da lui scelti. Poi l’araldo sale sulla pedana e consegna il documento nelle sue mani; e a questo punto v’è un’acclamazione da parte di tutti quelli che sono presenti, che in quella lingua equivale a: “Felice è il popolo di Bensalem”.
Poi l’araldo prende in mano dall’altro giovinetto il grappolo d’uva, che è d’oro, sia il gambo sia gli acini. Ma gli acini sono finemente smaltati, e se i maschi della famiglia sono in numero maggiore, gli acini sono smaltati di porpora, con un piccolo sole in cima; se lo sono le femmine, essi allora sono smaltati di giallo verde, con una luna in cima. Gli acini sono tanti quanti sono i discendenti della famiglia. Anche questo grappolo d’oro viene consegnato dall’araldo al Tirsan, il quale subito lo affida a quel figlio che aveva prima scelto ad abitare in casa con lui; il quale, da quel momento in poi, in pubblico lo porta sempre precedendo il padre come un segno d’onore; ed è per questo chiamato il Figlio della Vigna.
Dopo la fine di questa cerimonia, il padre o Tirsan si ritira; e dopo qualche tempo ritorna per il pranzo, durante il quale siede solo sotto il baldacchino come prima; e nessuno dei suoi discendenti siede con lui, quale che sia il suo grado o la sua dignità, a meno che non sia della Casa di Salomone.
Egli è servito soltanto dai figli maschi, che svolgono tutti i servizi della tavola stando in ginocchio, mentre soltanto le donne stanno in piedi intorno a lui, appoggiate contro la parete. Di qua dalla pedana, ai lati della stanza vi sono tavole per gli ospiti invitati, i quali sono serviti con gran ordine e decoro; e verso la fine del pranzo (che in occasione dei più grandi festeggiamenti non dura mai da loro più di un’ora e mezzo), viene cantato un inno, diverso secondo l’immaginazione di colui che lo compone (ed essi hanno poesia eccellente), ma l’argomento è sempre la lode di Adamo, di Noè e di Abramo, di cui i primi due popolarono il mondo, e l’ultimo fu il padre dei credenti; e si conclude sempre con un ringraziamento per la natività del nostro Salvatore, nella cui nascita soltanto la nascita di tutti è benedetta.
Finito il pranzo, il Tirsan si ritira ancora; e dopo essersi appartato solitario in un luogo nel quale dice alcune preghiere segrete, torna per la terza volta a dare la benedizione, con tutti i suoi discendenti che gli stanno intorno come prima. Poi li chiama per nome a uno a uno, a suo piacimento, sebbene di rado l’ordine d’età sia invertito. La persona chiamata (la tavola è stata tolta precedentemente) s’inginocchia davanti al seggio, e il padre pone la mano sul capo di lui o di lei, e dà la benedizione con queste parole: « Figlio di Bensalem (o figlia di Bensalem), tuo padre lo dice; l’uomo per il quale tu hai respiro e vita pronunzia la parola; la benedizione del sempiterno Padre, del Principe della pace e della Sacra Colomba sia su di te e renda i giorni del tuo pellegrinaggio buoni e numerosi. » Dice questo a ognuno di essi; e fatto ciò, se v’è qualcuno dei suoi figli di merito e di virtù eminente (purché non siano più di due), egli li chiama ancora e dice, ponendo loro il braccio sulla spalla mentre essi rimangono in piedi: « Figli, è bene che siate nati, lodate Dio e perseverate sino alla fine. » E quindi consegna a ognuno di loro un gioiello fatto a forma di spiga di frumento, che da quel momento essi portano sul davanti del turbante o del cappello. Ciò fatto, essi si danno alla musica e alle danze e ad altri divertimenti, secondo il loro costume, per il rimanente della giornata. Questo è l’intero svolgimento della festa.
Ormai erano passati sei o sette giorni, e io ero divenuto amico intimo di un mercante di quella città, il cui nome era Joabin. Egli era un Ebreo e un circonciso; essi hanno infatti ancora alcune famiglie di Ebrei rimasti fra loro, che essi lasciano alla loro religione. E possono farlo tanto meglio in quanto questi hanno un animo assai diverso da quello degli Ebrei d’altri paesi. Infatti, mentre questi ultimi odiano il nome di Cristo e nutrono un segreto e innato rancore contro le persone fra le quali vivono, questi, al contrario, danno al nostro Salvatore molti nobili attributi, e amano assai la nazione di Bensalem. L’uomo del quale parlo avrebbe ammesso in ogni momento che Cristo era nato da una Vergine e che Egli era più che uomo; e avrebbe raccontato come Iddio Lo avesse fatto capo dei serafini che custodiscono il Suo trono; ed essi Lo chiamano anche Via Lattea, e l’Elia del Messia, e con molti altri nobili nomi, che sebbene siano inferiori alla Sua divina maestà, sono tuttavia ben diversi dal linguaggio degli altri Ebrei.
Quanto al paese di Bensalem, questo uomo non finiva mai di lodarlo, essendo desideroso, secondo una tradizione esistente fra gli Ebrei di quel luogo, che si credesse che la popolazione era della generazione di Abramo, discendente da un altro figlio che chiamano Nachoran; e che Mosè con una cabala segreta avesse istituito le leggi di Bensalem che ora sono usate; e che quando il Messia fosse venuto e si fosse assiso sul Suo trono a Gerusalemme, il re di Bensalem si sarebbe assiso ai Suoi piedi, mentre gli altri re avrebbero dovuto tenersi a grande distanza. Ma, a parte queste fantasie giudaiche, quest’uomo era saggio e colto e assai accorto, e ben addentro nelle leggi e nei costumi di quella nazione.
Fra le altre cose, un giorno gli dissi che ero stato molto colpito dal racconto che qualcuno di loro mi aveva fatto sull’uso di celebrare la festa della famiglia, perché mi pareva di non aver mai sentito parlare di una solennità alla quale la Natura presiedesse a tal punto. E poiché la propagazione delle famiglie dipende dall’unione nuziale, desideravo sapere da lui quali leggi e costumi avessero circa il matrimonio, e se erano fedeli al matrimonio, e se erano legati a una sola moglie. Infatti, dove la discendenza numerosa ha tanta importanza e così come appariva da loro, è generalmente consentita una pluralità di mogli.
A ciò egli rispose: « Avete ragione di lodare l’eccellente istituto della festa della famiglia; e per la verità sappiamo dall’esperienza che le famiglie che partecipano delle benedizioni di quella festa fioriscono e prosperano da allora in poi in modo straordinario. Ma ascoltatemi e vi dirò ciò che so. Dovete sapere che non esiste sotto i cieli una nazione tanto casta quanto questa di Bensalem, né altrettanto immune da ogni contaminazione o bassezza. Essa è la vergine del mondo.
« Non ho letto di simile castità presso alcun popolo. Ed è loro detto abituale che chiunque sia incontinente non può rispettare sé stesso; e affermano che il rispetto di sé, dopo la religione, è il freno più importante di tutti i vizi. »
Detto questo il buon Ebreo tacque un poco; allora io, assai più desideroso di sentir parlar lui che di parlare io stesso, e stimando purtuttavia conveniente che a questa pausa nel suo discorso non dovessi starmene completamente silenzioso, dissi soltanto che volevo dirgli, come la vedova di Sarepta disse a Elia, ch’era venuto a rinnovare la memoria dei nostri peccati; e che dovevo ammettere che la rettitudine di Bensalem era maggiore della rettitudine d’Europa. A queste parole egli inchinò il capo, e prosegui in questo modo:
« Vi sono anche molte sagge ed eccellenti leggi riguardanti il matrimonio. Esse non ammettono la poligamia. È stato stabilito che nessuno si sposi o contragga matrimonio finché non sia passato un mese dal primo incontro. Il matrimonio senza il consenso dei genitori non è annullato, ma è multato negli eredi; perché alla prole di tali matrimoni non è consentito ereditare più di un terzo dell’eredità dei genitori. »
E mentre stavamo così conversando, venne uno, che pareva un messaggiero, con un ricco barracano, e parlò con l’Ebreo; questi si volse a me e disse: « Vogliate scusarmi; ho l’ordine di andare d’urgenza. » Il mattino seguente tornò da me; pareva allegro e mi disse: « È giunta notizia al Governatore della città che uno dei padri della Casa di Salomone sarà qui oggi a otto; non ne abbiamo visto nessuno in questi ultimi dodici anni. Giungerà in grande pompa; ma il motivo della sua venuta è segreto. Procurerò a voi e ai vostri compagni un buon posto per vedere il suo ingresso. » Lo ringraziai e gli dissi che ero lietissimo della notizia.
Venuto il giorno egli fece il suo ingresso. Era un uomo di media statura e di media età, dignitoso nella persona, e con l’espressione di chi ha compassione degli uomini. Era vestito di una tunica di fine stoffa nera, con ampie maniche e una cappa; sotto aveva indumenti di splendido lino bianco sino ai piedi, ed era cinto da una cintura della stessa stoffa, e portava intorno al collo un collare o stola del medesimo tessuto. Aveva singolari guanti incastonati di pietre; e scarpe di velluto color pesca. Aveva il collo nudo sino alle spalle. Il cappello era simile a un elmo o a un monterò spagnuolo, e sotto di esso i capelli erano convenientemente arricciati: erano di colore bruno. Aveva la barba tagliata in tondo e dello stesso colore dei capelli, solo un po’ più chiara. Veniva portato in una ricca carrozza senza ruote, a mo’ di lettiga, con due cavalli a ciascuna delle estremità, riccamente bardati di velluto azzurro ricamato; su ciascun lato erano due valletti vestiti in maniera simile. La carrozza era tutta di cedro dorato e adorna di cristallo; solo che la parte anteriore aveva pannelli di zaffiri disposti in cornici d’oro, e la parte posteriore li aveva di smeraldi del colore di quelli del Perù. C’era anche sulla cima, al centro, un sole d’oro raggiante, e in cima sul davanti un piccolo cherubino d’oro con le ali spiegate. La carrozza era coperta di un panno d’oro intessuto sull’azzurro. Davanti a lui c’erano cinquanta attendenti, tutti giovani, con manto di raso bianco fino a mezza gamba, calze di seta bianca, scarpe di velluto azzurro, e cappelli di velluto azzurro con belle piume di colori diversi, poste intorno a guisa di nastri. Immediatamente davanti alla carrozza venivano due uomini, a capo scoperto, vestiti di lino fino ai piedi, con cintura e con scarpe di velluto azzurro, i quali portavano l’uno un bacolo, l’altro un pastorale simile a un vincastro; nessuno dei due di metallo, ma il bacolo di legno di balsamo, il pastorale di cedro. Non c’erano cavalieri né davanti né dietro la sua carrozza: per evitare, come sembra, qualsiasi agitazione e confusione. Dietro la carrozza venivano tutti gli ufficiali e i dignitari delle corporazioni della città. Egli sedeva solo, su cuscini azzurri di finissima felpa; e aveva sotto i piedi rari tappeti di seta di diversi colori, simili a quelli persiani, ma assai più belli. Egli teneva alzata la mano nuda mentre procedeva, come a benedire la gente, ma in silenzio. La strada era straordinariamente ben ordinata; tanto che non vi fu mai esercito che avesse i propri uomini meglio disposti in assetto di battaglia di quanto lo fosse quella gente. Similmente le finestre non erano affollate, ma ognuno vi stava come se vi fosse stato collocato.
Quando il corteo fu passato, l’Ebreo mi disse: « Non sarò in grado di tenervi compagnia come vorrei a causa dell’incarico che la città mi ha affidato d’intrattenere questo grande personaggio. » Tre giorni dopo l’Ebreo tornò da me e disse: « Siete uomini fortunati; infatti il padre della Casa di Salomone prende atto che voi siete in questo luogo e mi ha ordinato di dirvi che ammetterà tutti voi alla sua presenza, e che avrà un colloquio privato con uno di voi che dovrete scegliere; e ha già stabilito che questo avvenga dopodomani. E poiché intende darvi la sua benedizione, l’ha fissata per la mattinata. »
Venuti il giorno e l’ora, fui scelto dai miei compagni per l’udienza privata. Lo trovammo in una bella camera, riccamente addobbata e ricoperta di tappeti, senza gradini per giungere al baldacchino. Egli era seduto su un tronetto riccamente adorno e sotto un ricco drappo da baldacchino di raso azzurro ricamato. Era solo, se si eccettuano due paggi d’onore, uno a ogni lato, finemente paludati di bianco. Di sotto, le sue vesti erano simili a quelle che gli avevamo visto indossare sulla carrozza; ma al posto della toga portava un mantello con cappa, del medesimo splendido colore nero, assicurata con cinture. Nel momento stesso in cui entrammo, facemmo un inchino profondo come ci era stato insegnato; e quando ci fummo avvicinati al suo seggio egli si alzò porgendo la mano priva di guanto e in atto di benedizione; e noi tutti ci chinammo e baciammo il lembo del suo mantello. Ciò fatto, gli altri se ne andarono e io rimasi. Allora egli ordinò ai paggi di uscire dalla stanza e mi fece sedere accanto a lui, e così mi parlò in lingua spagnuola:
« Dio ti benedica, figliuolo; ti darò il più grande gioiello che possiedo. Poiché ti comunicherò, per amore di Dio e degli uomini, un rapporto dello stato reale della Casa di Salomone. Figliuolo, per farti conoscere lo stato reale della Casa di Salomone seguirò quest’ordine: in primo luogo ti esporrò il fine della nostra fondazione; in secondo luogo i mezzi e gli strumenti che abbiamo per operare; in terzo luogo i diversi impieghi e le diverse funzioni alle quali sono destinati i nostri associati; e in quarto luogo le cerimonie e i riti che osserviamo.
« II fine della nostra fondazione è la conoscenza delle cause e dei segreti moti delle cose, e l’ampliamento dei confini dell’impero umano per l’effettuazione di tutte le cose possibili.
« I mezzi e gli strumenti sono questi. Abbiamo ampi e profondi pozzi di varia profondità: i più profondi si spingono fino a 3600 piedi, e alcuni di essi sono scavati e costruiti sotto grandi colline e montagne; cosicché, se si calcola insieme la profondità della collina e la profondità del pozzo, alcuni di essi sono profondi più di tre miglia; ci risulta infatti che la profondità di una collina e la profondità di un pozzo, rispetto alla pianura, sono la stessa cosa; entrambi sono ugualmente lontani dai raggi del sole e del cielo e dall’aria aperta. Questi pozzi noi li chiamiamo la regione inferiore, e ce ne serviamo per ogni sorta di coagulazioni, di solidificazioni, di refrigerazioni e di conservazioni dei corpi. Li usiamo anche come imitazioni delle miniere naturali e per la produzione di nuovi metalli artificiali per mezzo di composti e di sostanze che usiamo e che collochiamo colà per molti anni. Ce ne serviamo anche talvolta (il che può sembrare strano) per la cura di certe malattie e per prolungare la vita di alcuni eremiti che preferiscono vivere laggiù, ben provvisti di tutte le cose necessarie, e che per la verità vivono molto a lungo; da essi poi impariamo molte cose.
« Abbiamo depositi sotterranei in terreni vari, nei quali poniamo cementi diversi come fanno i Cinesi per la loro porcellana. Ma noi ne abbiamo una varietà maggiore, e alcune specie sono più belle. Abbiamo anche una grande varietà di concimi e di fertilizzanti per rendere la terra più fruttifera.
« Abbiamo alte torri, le più alte di circa mezzo miglio d’altezza, e alcune anche poste in cima ad alte montagne, cosicché l’altezza della collina con la torre è, in quelle più elevate, di almeno tre miglia. E questi luoghi noi chiamiamo la regione alta, considerando lo spazio tra i luoghi alti e quelli bassi come una regione media. Ci serviamo di queste torri, secondo la loro diversa altezza e posizione, per l’isolamento, la refrigerazione, la conservazione, e per l’osservazione di diverse meteore, come venti, pioggia, neve, grandine, e anche di alcune meteore di fuoco. E in certi di questi luoghi vi sono abitazioni per eremiti, che ogni tanto visitiamo e ai quali indichiamo che cosa osservare.
« Abbiamo grandi laghi, sia salati sia dolci, dei quali ci serviamo per i pesci e per gli uccelli. Ce ne serviamo anche per immergervi certi corpi naturali, perché notiamo una differenza fra le cose seppellite nella terra, o nello spazio sotto terra, e le cose immerse nell’acqua. Abbiamo anche bacini di cui alcuni estraggono l’acqua dolce da quella salata, e altri trasformano artificialmente l’acqua dolce in salata. Abbiamo anche certi scogli nel mezzo del mare e insenature sulla spiaggia adattati per certi lavori per i quali sono indispensabili l’aria e il vapore del mare. Abbiamo parimente impetuose correnti e cateratte che ci servono per molti movimenti; e ancora macchine per moltiplicare e rafforzare i venti e anche per avviare movimenti diversi.
« Abbiamo anche un gran numero di pozzi e di fontane artificiali, costruite a imitazione delle sorgenti e dei bagni naturali, impregnate di vetriolo, solfo, acciaio, rame, piombo, nitro e altri minerali; e ancora abbiamo piccoli bacini per l’infusione di molte cose, nei quali le acque acquistano una virtù più in fretta e meglio che in recipienti o in vasche. E fra le altre abbiamo un’acqua, che chiamiamo Acqua del Paradiso, la quale, cosi come la lavoriamo, è assai efficace per la salute e per il prolungamento della vita.
« Abbiamo altresì grandi edifici spaziosi nei quali imitiamo ed esperimentiamo le meteore, come la neve, la grandine, la pioggia, piogge artificiali di corpi che non siano l’acqua, tuoni, lampi; e generazione di corpi nell’aria, come rospi, mosche e diversi altri.
« Abbiamo anche certe camere, che chiamiamo camere della salute, nelle quali modifichiamo l’aria secondo che giudichiamo giusto e conveniente alla cura di diverse malattie e alla conservazione della salute.
« Abbiamo anche bei bagni spaziosi di varie misture per la cura delle malattie e per ristabilire il corpo umano dalla rarefazione; e altri per consolidarlo nella forza dei nervi, delle parti vitali e dell’umore e sostanza stessi del corpo.
« Abbiamo anche vasti e diversi frutteti e orti, nei quali non badiamo tanto alla bellezza quanto alla varietà del terreno e del concime, adatto alle diverse piante ed erbe, e alcuni assai spaziosi, nei quali sono piantati alberi e bacche dai quali ricaviamo varie specie di bevande, oltre che dalle vigne. In essi pratichiamo anche ogni genere di innesto e di inoculazione, tanto di alberi selvatici quanto di alberi da frutto, e questo dà molti risultati. E artificialmente facciamo in modo che, in questi stessi frutteti e orti, gli alberi e i fiori vengano prima o dopo rispetto alla loro stagione, e che crescano e diano frutto più speditamente di quanto non facciano secondo il loro processo naturale. Artificialmente li rendiamo anche più grandi di quanto non siano in natura, e i loro frutti più grossi e più gustosi, e di sapore, di odore, di colore e di forma diversi dalla loro natura. E molti d’essi li modifichiamo in modo tale che diventano di uso medicinale.
« Abbiamo anche mezzi per far crescere diverse piante mescolando terreni diversi senza semi, e parimente di produrre diverse piante nuove, differenti da quelle comuni, e di trasformare un albero o una pianta in un’altra.
« Abbiamo ancora parchi e recinti con ogni sorta di animali e di uccelli, dei quali non ci serviamo soltanto per mostra di rarità, ma anche per dissezioni ed esperimenti, e con ciò siamo in grado di trarre lumi su ciò che si può operare sul corpo dell’uomo. E in questo riscontriamo molti singolari fenomeni: per esempio la continuazione della vita in quegli animali, anche se diverse parti che voi considerate vitali sono morte e asportate; la risuscitazione di altri che in apparenza sembrano morti, e simili. Sperimentiamo anche su di essi ogni sorta di veleni e di farmaci, sia nella chirurgia sia nella medicina. Ancora li rendiamo artificialmente più grandi o più alti della loro specie, o per contro li rimpiccioliamo e arrestiamo la loro crescita; li rendiamo più fecondi e produttivi di quanto non lo sia la loro specie, e per contro sterili e improduttivi. Li facciamo anche mutare colore, forma e attività in molti modi. Abbiamo trovato il modo di fare incroci e accoppiamenti fra specie diverse, e queste hanno prodotto molte nuove specie, e non sterili come generalmente si pensa. Produciamo un gran numero di specie di serpenti, di vermi, di mosche, di pesci, per mezzo della putrefazione, delle quali poi alcune sono fatte progredire fino a essere creature perfette, come animali o uccelli, e hanno sesso e si moltiplicano. E non facciamo questo a caso, ma sappiamo in precedenza da quale materia e composizione usciranno questa o quella specie di creature.
« Abbiamo anche piscine speciali nelle quali facciamo esperimenti sui pesci, come abbiamo detto prima per gli animali e per gli uccelli.
« Abbiamo anche luoghi per l’allevamento e per la generazione di quelle specie di vermi e di insetti che sono di particolare utilità, come sono da voi i bachi da seta e le api.
« Non vi tratterrò a lungo per raccontarvi delle nostre case di fermentazione, case di cottura, e delle cucine, nelle quali vengono fabbricate diverse bevande, pani e cibi rari e con risultati eccezionali. Abbiamo vini d’uva, e bevande d’altri succhi, di “frutti, di cereali, di radici, o ottenute da mescolanze con miele, zucchero e manna e frutti secchi e decotti, o anche da incisioni o ferite degli alberi e dalla polpa delle canne. E queste bevande sono di età diverse, alcune fino all’età o stagionatura di quarant’anni. Abbiamo ancora bevande fermentate con diverse erbe, radici e spezie; persino con varie carni rosse e bianche; e alcune delle bevande sono tali da essere in effetto insieme cibo e bevanda, tanto che parecchi, specialmente in età, desiderano vivere soltanto con esse con poca o punta carne o pane. E soprattutto cerchiamo di produrre bevande di elementi estremamente tenui da introdurre nel corpo, senza che causino corrosione, fitte o irritazione; cosi che alcune di esse, poste sul dorso della mano, dopo qualche tempo passano sino al palmo, e danno anche un buon sapore in bocca. Abbiamo ancora acque che disacerbiamo in modo tale da renderle nutrienti, sicché sono veramente bevande eccellenti, e molti non ne usano altre. Abbiamo pane di diversi cereali, radici e mandorle, e persino di carne e di pesce seccati, con diversi tipi di lieviti e di condimenti; in modo che vi sono specie che stuzzicano assai l’appetito, altre che nutrono tanto che parecchi longevi vivono di quello senza alcun altro nutrimento. Cosi, riguardo alle carni, ne abbiamo di cosi battute, rese cosi tenere e frolle, senza però alcuna putrefazione, che il calore per quanto debole di uno stomaco le trasforma in buon chilo, come il calore forte farebbe per la carne preparata in altro modo. Abbiamo altresì certe carni e pani e bevande che, una volta presi, danno la possibilità di digiunare a lungo; e alcuni altri che, usati, rendono la carne dei corpi umani notevolmente più solida e robusta, e la loro forza di gran lunga maggiore di quanto non sarebbe altrimenti.
« Abbiamo dispensari o botteghe di medicina nelle quali, come potete facilmente immaginare, se abbiamo una tale varietà di piante e di creature viventi, più di quante ne abbiate voi in Europa (noi sappiamo infatti quante ne avete), i semplici, i farmaci e gli ingredienti medicinali devono anche essere in altrettanta varietà maggiore. Ne abbiamo parimente di età diverse e di lunga fermentazione. Quanto alla loro preparazione, non soltanto disponiamo di ogni forma di accurate distillazioni e di estrazioni, e specialmente per mezzo di temperature miti, e depurazioni attraverso filtri diversi e persino sostanze, ma anche forme esatte di composizione, per le  quali  si  associano quasi  fossero  semplici naturali.
« Abbiamo anche diverse arti meccaniche che voi non avete; e i prodotti che con esse fabbrichiamo, come carte, stoffe, sete, tessuti, delicati lavori di piume di sfarzo meraviglioso, ottime tinte e molte altre cose; e altresì botteghe, sia per quei prodotti che da noi non sono entrati nell’uso comune, sia per quelli che lo sono. Dovete infatti sapere che, delle cose dianzi descritte, molte d’esse vengono largamente usate in tutto il regno, ma se sono scaturite dalla nostra invenzione, ne conserviamo anche per modelli e per lo studio dei principi.
« Abbiamo anche una grande varietà di forni che mantengono temperature assai diverse: alte e rapide, forti e costanti, moderate e miti, insufflate, ferme, secche, umide e simili. Ma soprattutto abbiamo temperature a imitazione di quelle del sole e dei corpi celesti le quali, evitando vari inconvenienti, come le orbite, le rivoluzioni e i ritorni, ci consentono ammirevoli risultati. Abbiamo inoltre il calore del letame e degli intestini e degli stomachi delle creature viventi, e quello del loro sangue e del loro corpo, e dei fieni e delle erbe ammassati ancora umidi, della calce viva e simili. Ancora, strumenti che generano calore per mezzo del solo moto. E inoltre luoghi per forti isolamenti; e ancora luoghi sotto terra che, naturalmente o artificialmente, producono calore. Ci serviamo di questi diversi tipi di calore secondo che lo richieda la natura dell’operazione che conduciamo.
« Abbiamo anche case di ottica, nelle quali riproduciamo ogni sorta di luci e di radiazioni, e ogni sorta di colori; e con oggetti privi di colore e trasparenti possiamo rappresentarvi tutti i diversi colori, non a iride (come nelle gemme e nei prismi), ma singolarmente. Otteniamo ancora ogni forma di moltiplicazione della luce, che portiamo a un punto tale e a una tale acutezza, da distinguere piccoli punti e linee. Ancora tutte le sfumature della luce; tutte le illusioni e gli inganni della vista, sia nella forma, sia nella grandezza, sia nei movimenti, sia nei colori; qualsiasi riproduzione di ombre. Abbiamo anche trovato vari modi, ancora a voi sconosciuti, di produrre la luce direttamente da corpi diversi. Ci siamo provveduti dei mezzi per vedere oggetti lontani, come quelli in cielo o in luoghi remoti; e otteniamo che gli oggetti vicini sembrino lontani, e gli oggetti lontani vicini, creando distanze apparenti. Abbiamo ancora ausili per la vista, assai superiori agli occhiali e alle lenti in uso. Possediamo ancora lenti e altri mezzi per osservare perfettamente e distintamente corpi piccoli e minuti, per esempio le forme e i colori di piccoli insetti e vermi, la grana e le incrinature delle gemme che non possono essere vedute altrimenti, esami del sangue e dell’urina che non possono essere fatti diversamente. Riproduciamo intorno alla luce iridi, aloni, cerchi artificiali. Riproduciamo altresì ogni sorta di riflessioni, di rifrazioni e di moltiplicazione dei raggi visivi degli oggetti.
« Abbiamo anche pietre preziose d’ogni genere, molte di esse di grande bellezza e ignote a voi; e cristalli, e vetri di varie specie; e fra questi alcuni di metalli vetrificati e altri materiali, diversi da quelli con i quali voi fabbricate il vetro. Ancora una grande quantità di fossili e di minerali imperfetti, che voi non avete. Inoltre magneti di forza prodigiosa e altre pietre rare, naturali o artificiali.
« Abbiamo ancora case del suono nelle quali esperimentiamo e riproduciamo tutti i suoni con la loro origine. Possediamo accordi che voi non avete, di quarti di tono e di passaggi di suono ancora più lievi. Anche diversi strumenti musicali, a voi ignoti, alcuni più soavi di tutti quelli che avete voi; e insieme campane e campanelli di suono delicato e dolce. Produciamo tanto i suoni piccoli quanto quelli grandi e profondi; e quelli grandi sia bassi sia acuti; produciamo vari tremoli e trilli di suoni che originalmente sono interi. Riproduciamo e imitiamo tutti i suoni e le lettere articolati e le voci e le note degli animali e degli uccelli. Abbiamo certi congegni i quali, se applicati all’orecchio, favoriscono assai l’udito. Abbiamo ancora vari strani echi artificiali, che riflettono la voce molte volte, quasi rigettandola; e alcuni che restituiscono la voce più forte di quanto non sia andata, alcuni più acuta e altri più profonda; e persino alcuni che restituiscono la voce diversa nelle lettere o nel suono articolato da quella che ricevono. Abbiamo anche la maniera di incanalare i suoni in cilindri e tubi, in direzioni e distanze singolari.
« Abbiamo anche case di profumi, alle quali connettiamo anche esperimenti sul gusto. Moltiplichiamo gli odori, e questo può sembrare strano: imitiamo gli odori, facendoli emanare tutti da preparati diversi da quelli che li emettono. Otteniamo anche diverse imitazioni di sapori, che ingannano il gusto di chicchessia. È anche annessa in questa casa una fabbrica di conserve, nella quale produciamo ogni sorta di canditi, secchi e umidi, e diverse specie gustose di vini, di latte, di brodi e di legumi in varietà maggiore della vostra.
« Abbiamo ancora fabbriche di macchine, nelle quali vengono costruite macchine e strumenti adatti a qualsiasi genere di movimento. Ivi conduciamo esperienze per imitare movimenti più veloci di quanto non possiate fare voi sia con i vostri moschetti sia con qualsiasi altra macchina che possedete; e ottenerli e moltiplicarli più facilmente e con poca energia, con ingranaggi e altri mezzi, e renderli più forti e più violenti di quanto non siano i vostri, superando i vostri più grandi cannoni e basilischi. Fabbrichiamo anche materiale bellico e strumenti di guerra e macchine d’ogni sorta; e anche nuove miscele e combinazioni di polvere da sparo, fuoco greco che arde nell’acqua ed è inestinguibile, e ancora fuochi d’artificio di ogni varietà, sia per divertimento, sia per utilità. Imitiamo ancora il volo degli uccelli, e abbiamo qualche possibilità di volare nell’aria. Abbiamo navi e imbarcazioni per andare sott’acqua e per sfruttare i mari, e ancora cinture e sostegni per nuotare. Abbiamo diversi orologi singolari, e altri simili meccanismi di reazione, e anche moti perpetui. Riproduciamo anche i movimenti delle creature vive con modelli di uomini, animali, uccelli, pesci e serpenti; abbiamo ancora un grande numero di altri vari movimenti,  singolari per  regolarità, precisione  e  minuzia.
« Abbiamo anche una casa per la matematica, nella quale vengono costruiti con estrema accuratezza tutti gli strumenti per la geometria e l’astronomia.
« Abbiamo anche case dell’illusione dei sensi, nelle quali otteniamo ogni sorta di fenomeni di prestigio, di false apparizioni, d’inganni, d’illusioni e dei loro errori. E vi riuscirà certamente facile credere che noi, che possediamo tante cose realmente naturali che suscitano l’ammirazione, possiamo in un mondo di particolari ingannare i sensi, volendo mascherare quelle cose e facendo in modo che sembrino più miracolose. Ma avversiamo tutte le imposture e le menzogne, tanto che abbiamo severamente proibito a tutti i nostri soci, sotto la pena di disonore e di multe, di mostrare un’opera o un oggetto naturale con ornamento o con amplificazione, ma soltanto puro cosi com’è e senza nessuna affettazione di straordinarietà. 
« Queste sono, figliuolo, le ricchezze della Casa di Salomone.
« Quanto alle diverse funzioni e uffici dei nostri soci, ne abbiamo dodici che si recano in paesi stranieri sotto il nome di altre nazioni (il nostro lo teniamo infatti segreto), i quali ci portano i libri e gli estratti e gli esempi di esperimenti compiuti da ogni parte. Noi li chiamiamo Mercanti della Luce.
« Ne abbiamo tre che raccolgono gli esperimenti che si trovano in tutti i libri. Questi li chiamiamo Predatori.
« Ne abbiamo tre che raccolgono gli esperimenti di tutte le arti meccaniche, e anche delle scienze liberali, e anche di quelle pratiche che non sono portate al grado di arti. Chiamiamo questi Uomini del Mistero.
« Ne abbiamo tre che tentano quei nuovi esperimenti che a loro sembrano utili. Questi li chiamiamo Pionieri o Minatori.
« Ne abbiamo tre che riducono gli esperimenti dei precedenti quattro gruppi in simboli e tavole, sì da offrire lo strumento migliore per la derivazione da essi di osservazioni e di assiomi. Chiamiamo questi Compilatori.
« Ne abbiamo tre che, studiando gli esperimenti dei loro colleghi, si adoprano e si danno da fare per trarre da essi cose utili e pratiche per la vita e per la conoscenza umana, sia per quanto riguarda le opere sia per quanto riguarda una semplice dimostrazione delle cause, i mezzi della divinazione naturale e la scoperta facile e chiara delle proprietà e delle parti dei corpi. Chiamiamo questi Uomini di Talento o Benefattori.
« Poi, dopo diversi incontri e consulti di noi tutti, per considerare le elaborazioni e le sintesi precedenti, ne abbiamo tre che in esito a queste si adoperano per predisporre nuovi esperimenti di più alto valore che penetrano nella Natura più a fondo dei primi. Questi li chiamiamo Lampade.
« Ne abbiamo altri tre che eseguono gli esperimenti così predisposti e ne riferiscono. Questi li chiamiamo Inoculatori.
« Infine ne abbiamo tre che elevano le precedenti scoperte sperimentali a osservazioni, assiomi e aforismi più alti. Questi li chiamiamo Interpreti della Natura.
« Abbiamo altresì, come penserete, novizi e apprendisti, affinchè non manchi la successione ai precedenti sperimentatori, oltre a un gran numero di aiuti e di assistenti, uomini e donne. E facciamo anche questo: teniamo consultazioni su quali delle scoperte e degli esperimenti fatti debbano essere pubblicati, e quali no; e prestiamo tutti giuramento di segretezza per celare quelli che crediamo giusto tenere segreti, anche se alcuni di questi li riveliamo talvolta allo stato e altri no.
« Quanto poi alle celebrazioni e ai riti, abbiamo due lunghissime e belle gallerie: in una di queste mettiamo modelli e campioni di tutti i tipi di invenzioni più rare ed eccelse; nell’altra collochiamo le statue di tutti i principali scopritori. Là abbiamo la statua del vostro Colombo, che scoprì le Indie Occidentali; dell’inventore delle navi; il vostro monaco che fu l’inventore dell’artiglieria e della polvere da sparo; dell’inventore della musica; dell’inventore dell’alfabeto; dell’inventore della stampa; dell’inventore delle osservazioni astronomiche; dell’inventore della lavorazione dei metalli; dell’inventore del vetro; dell’inventore della seta di filugello; dell’inventore del vino; dell’inventore del grano e del pane; dell’inventore dello zucchero; e tutti questi per tradizione più sicura della vostra. Abbiamo poi nostri vari inventori di opere eccellenti che, dal momento che voi non le avete viste, sarebbe troppo lungo descrivere; e per di più potreste facilmente sbagliare a dare la giusta interpretazione delle descrizioni d’esse. E per ogni invenzione di valore erigiamo una statua all’inventore e gli diamo una ricompensa generosa e onorevole. Queste statue sono alcune di bronzo, alcune di marmo e di basalto, alcune di cedro e di altri legni pregiati, indorati e abbelliti; alcune di ferro, alcune d’argento, alcune d’oro.
« Abbiamo inni e funzioni quotidiane di lode e di ringraziamento a Dio per le Sue meravigliose opere. E formule di preghiera con le quali imploriamo il Suo aiuto e la Sua benedizione affinchè ci illumini nelle nostre fatiche, e le faccia volgere a buono e santo uso.
« Infine facciamo giri o visite delle varie città principali del regno, ove, secondo l’opportunità, rendiamo pubbliche le nuove invenzioni utili che giudichiamo giusto divulgate. Comunichiamo anche le previsioni naturali di malattie, di epidemie, d’invasioni di stormi di creature nocive, di carestia, di tempeste, di terremoti, di grandi inondazioni, di comete, del clima dell’anno e diverse altre cose; e al riguardo diamo consiglio su ciò che si deve fare per la prevenzione o il rimedio. »
Detto questo, egli si alzò; e io, come mi avevano insegnato, m’inginocchiai; ed egli posò la mano destra sul mio capo e disse: « Dio ti benedica, figliuolo, e Dio benedica le parole che ho detto. Ti do libertà di pubblicarle per il bene di altre nazioni; perché qui noi siamo, in seno a Dio, una terra sconosciuta. » Indi mi lasciò, dopo aver assegnato come dono a me e ai miei compagni un valore di circa duemila ducati. Essi infatti largiscono generosi donativi ogni volta che se ne presenta l’occasione.
IL RIMANENTE NON FU COMPIUTO